Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge nasce dalla constatazione che tutte le politiche di lotta alla droga e di recupero dei tossicomani fino ad oggi sperimentate in Italia - e le relative leggi - non solo non hanno sortito effetti positivi nel recupero di chi abusa di sostanze stupefacenti o da tali sostanze è dipendente, ma anzi hanno sortito effetti diametralmente opposti a quelli voluti e auspicati.
      Esperienze e legislazioni diverse, invece, hanno ottenuto effetti positivi, non solo nella riduzione della tossicodipendenza, ma anche in relazione ai danni subiti e causati da chi è ormai dipendente, dal punto di vista fisico e psicologico, da sostanze stupefacenti.
      Sulla base di esperienze realizzate in altri Paesi europei - e, in particolare, nelle città di Amsterdam, Liverpool e Zurigo - si è sviluppato, anche in Italia, un serio e approfondito dibattito che ha avuto la sua tappa più importante nella prima Conferenza nazionale sulla droga, organizzata dal Dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del Consiglio dei ministri (Palermo, 24-26 giugno 1993). In quella Conferenza era emerso che, a fronte della constatazione del fallimento delle precedenti opzioni legislative in tema di tossicodipendenza, era giunto il momento di fare alcuni passi avanti nella strategia della «riduzione del danno» (Harm Reduction): prospettiva di lavoro da tempo portata avanti da alcuni servizi sanitari della regione di Liverpool e che costituiva, sin dal 1988, l'obiettivo, considerato «essenziale» dal rapporto su AIDS e droga all'agenzia pubblica britannica Advisory Council on the Misuse of Drugs.

 

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      Lo sviluppo di quella ispirazione e di quella impostazione ci consente di assumere, come premessa di un'adeguata strategia nel campo delle tossicodipendenze, la possibilità di sottrarre il consumatore di droghe illegali a due convergenti forme di pressione: quella di tipo giudiziario, rappresentata dal sistema delle sanzioni e delle pene, e quella di tipo sanitario, che subordina l'aiuto, l'assistenza e la cura a una decisione di totale astinenza. Dietro tale pressione c'è una paradigma rigido, che impone un'alternativa secca: o l'astinenza o una vita di dolore e di marginalità, che comporta - per oltre mille individui all'anno - la morte per «eroina di strada». Sottrarre il tossicodipendente a tale alternativa - assai simile a una tenaglia senza scampo - e offrirgli un'altra possibilità: è questo l'obiettivo e la condizione primaria di una strategia di riduzione del danno. Essa prevede due forme diverse di intervento, tra loro integrabili, differite nel tempo o contestuali: «terapia», finalizzata all'interruzione del consumo di droghe che comportano dipendenza; «trattamento», finalizzato non immediatamente all'astinenza, ma al miglioramento dei comportamenti dei tossicodipendenti sul piano della salute e delle relazioni sociali.
      Dunque, se il tossicodipendente, in un determinato luogo e in un determinato momento della sua vita, non è in grado di scegliere l'astinenza - perché non può o non vuole, perché non ha incontrato don Ciotti o uno psicoterapeuta, un adeguato sistema di rapporti o un progetto di vita gratificante - occorre metterlo in condizioni di non morire. Questo è il primo compito terapeutico e sociale e il primo imperativo morale. Di conseguenza, occorre consentire a quel tossicodipendente di assumere sostanze nelle condizioni sociali, igieniche, sanitarie e giuridiche le meno pericolose, afflittive e oppressive possibili. Da qui la proposta della somministrazione, quando necessario, di eroina o di morfina sotto controllo medico, all'interno di strutture sanitarie pubbliche. È questa la precondizione affinché, in un altro luogo e in un altro momento della sua vita, quel tossicodipendente possa scegliere l'astinenza e possa rivolgersi a un servizio pubblico o a una comunità, a uno psicoterapeuta o a un diverso progetto di vita. Se sarà morto di overdose, se sarà malato di AIDS, se sarà in carcere, se sarà spacciatore o scippatore o rapinatore, se sarà prostituto o prostituta, non potrà arrivare a quella scelta.
      Si tratta di operare, pertanto, per evitare o ridurre, per controllare o limitare, il realizzarsi di situazioni di pericolo e dei danni a esse correlati, quali:

          1) intossicazione da adulteranti presubilmente presenti nell'eroina illegale;

          2) uso promiscuo di siringhe e conseguente rischio di infezione da HIV (nonché rischi di epatite virale, endocardite, flebite, eccetera);

          3) overdose, dovuta all'instabilità e all'imprevidibilità dei dosaggi della «droga di strada»;

          4) stile di vita irregolare e marginale, mancata integrazione sociale e precario stato di salute, dovuti alla ricerca della droga sul mercato illegale e alle condizioni del mercato illegale;

          5) comportamenti indotti dai costi elevati delle «droghe di strada»; prostituzione e conseguenti rischi di malattie veneree e di infezione da HIV; ingresso nel circuito dello spaccio di sostanze stupefacenti; atti criminali finalizzati all'acquisizione della dose e del denaro per la dose;

          6) stato di detenzione conseguente a quei comportamenti illegali.

      Tali considerazioni valgono, in primo luogo, per l'universo degli «anonimi»; non va dimenticato che - tra quanti assumono droghe - solo un tossicodipendente su cinque frequenta strutture di assistenza pubbliche o private. Dunque, i programmi di somministrazione controllata di sostanze stupefacenti intendono allargare il ventaglio delle possibilità e il numero delle opportunità offerte a quegli «anonimi», per sottrarre una parte di essi all'alternativa brutale prima indicata: o astinenza o

 

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«eroina di strada» (alle condizioni stabilite dalla criminalità organizzata e con tutti i rischi conseguenti, sopra ricordati).
      La presente proposta di legge parte dal presupposto che sia opportuno, e necessario - oltre che razionale e morale - proporre altre vie per consentire a quei tossicodipendenti - oggi incapaci di smettere per le più diverse ragioni - di assumere sostanze, senza che ciò comporti il subire le condizioni e i terribili rischi del mercato clandestino. Solo così, in futuro, quei tossicodipendenti - se saranno in grado e se lo vorranno, se avranno l'occasione e gli strumenti - potranno scegliere l'astinenza.
      Negli ultimi anni, molto si è fatto - in altri Paesi - al fine di perseguire tali obiettivi. Il Merseyside Drug Training and Information Centre di Liverpool si è fatto promotore delle conferenze mondiali sulla riduzione del danno, che si sono succedute dal 1989 a oggi, e gode del sostegno dell'Organizzazione mondiale della sanità, dell'attenzione dell'ONU e di agenzie influenti e autorevoli, come l'International Council on Alcohol and Addiction.
      L'elaborazione, anche in Italia, di un programma e di una normativa che si pongano i medesimi obiettivi può prendere le mosse dal Rapporto Gerstein-Lewin, pubblicato negli Stati Uniti dalla National Academy of Science (settembre 1990), a conclusione di una ricerca commissionata, fra gli altri, dal National Institute on Drugs Abuse, un organismo governativo. In questa, che è la più accurata indagine fino a oggi realizzata su costi e benefìci dei programmi di trattamento, si legge: «La ricerca iniziale di droghe e il loro uso occasionale dipendono largamente da una scelta volontaria, sebbene questo comportamento sia profondamente influenzato dall'ambiente. La progressione nell'uso di droghe non è inevitabile: una minoranza di consumatori progredisce verso l'abuso e ancora di meno arriva alla dipendenza».
      Dunque, per la maggioranza dei consumatori la dipendenza dalla droga non è una condanna a vita, tanto meno a morte. Essa occupa «una fase temporanea dell'esistenza», che può essere superata più o meno rapidamente attraverso un processo di maturazione personale, incentivato e sostenuto dall'esterno. Decisivo diventa, allora, il ruolo delle norme giuridiche, delle politiche sanitarie e dei servizi sociali. Le normative sulla droga devono facilitare quel processo evitando di trasformare i tossicodipendenti in tossicodelinquenti, in criminali indotti al crimine dalla necessità di procurarsi la dose e il denaro per la dose e di compromettere ogni possibilità di integrazione sociale e di efficace terapia medica.
      Ecco perché diventano prioritari l'obiettivo della «riduzione del danno» e la necessità di proporre programmi di trattamento diversificati: così come ogni soggetto è arrivato alla droga attraverso un suo percorso individuale e per - o a causa di - esperienze del tutto soggettive, così diventa indispensabile, se si vuole seriamente e concretamente affrontare il fenomeno, proporre diverse vie di uscita dalla situazione in cui versa il tossicodipendente.
      Numerose istituzioni sanitarie pubbliche - in Inghilterra, in Svizzera e in Olanda - hanno dato inizio, già da qualche anno, a progetti di sperimentazione di distribuzione di farmaci sostitutivi, e anche (se assolutamente necessario) di eroina, purché sotto stretto controllo medico. Tali esperienze si sono rivelate positive: in Svizzera, per esempio, sul totale dei partecipanti al programma sperimentale di somministrazione controllata, oltre la metà non fa più uso di eroina, e il 20 per cento neppure di sostanze sostitutive; il 90 per cento ha una normale vita sociale e lavorativa. Sono inoltre diminuiti dell'80 per cento i reati «da strada» connessi alla tossicodipendenza e non si sono segnalati, tra i soggetti sottoposti alla sperimentazione, nuovi casi di trasmissione dell'infezione da HIV.
      Nel settembre 1991, le autorità sanitarie di Ginevra si esprimevano come segue: «Colui che desidera smettere deve trovare tutte le istituzioni disponibili ad aiutarlo ad abbandonare l'uso della droga. Chi non
 

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riesce a smettere deve trovare tutte le istituzioni disponibili ad aiutarlo a sopravvivere».
      Da qui un notevole impulso alle strategie di riduzione del danno, tese a rendere «la condizione di tossicodipendenza compatibile con la vita sociale»: non bisogna lasciare alla piazza, agli spacciatori, alla morte (per AIDS, per overdose) chi ancora non ha fatto, o non ha avuto la forza di fare, una consapevole scelta di uscire dalla dipendenza da sostanze stupefacenti. Solo evitando la morte, o malattie che porterebbero alla morte, rimane una possibilità di recupero e di reinserimento.
      Questo - e non altro - è l'obiettivo della presente proposta di legge (che riproduce il testo dell'atto Camera n. 719 della XIV legislatura), redatta con il contributo degli avvocati Mirko Mazzali e Dario Ciarletta, e alla quale hanno contribuito - in un confronto costruttivo - medici, psicologi e operatori che ogni giorno cercano di affrontare e di risolvere i gravi problemi che incontra chi non riesce autonomamente a liberarsi dalla dipendenza della droga. Questa proposta di legge si inserisce in una strategia, sociale e terapeutica, che è l'opposto della resa e rappresenta, soprattutto, lo sforzo e la volontà di chi non intende abbandonare tutti coloro che non sono liberi di scegliere.
 

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